Ve li ricordate i gelati di una volta?
Negli Anni Cinquanta e Sessanta del Novecento lo sfizio di un gelato industriale diventava simbolo di un gratificante passaggio dal necessario al superfluo, della possibilità di permettersi qualche piccolo lusso, assaporando i benefici del boom economico.
È proprio nell’Italia di quegli anni – dalle grandi città ai remoti borghi di montagna – che cominciano a moltiplicarsi davanti ai bar-alimentari migliaia d’insegne con i listini pubblicitari di gelati delle marche più disparate: Eldorado, Motta e Alemagna (rivali come Bartali e Coppi), Toseroni, Algida, Sanson, ma anche nomi che ormai appartengono all’archeologia industriale, come Besana, Chiavacci, Tanara… Una moltitudine di offerte e di gusti – oggi annullata da pochi brand gestiti da multinazionali straniere – che testimonia la vivacità imprenditoriale di un’epoca in cui erano molti a cimentarsi in sfide d’impresa, soprattutto nel settore alimentare. Oggi queste insegne sono diventate una rarità, oggetti di culto per pochi intenditori, più introvabili di preziosi reperti del periodo etrusco. Che si tratti, poi, di pezzi tipicamente vintage, per la loro capacità di evocare stagioni irripetibili della nostra vita, non c’è dubbio alcuno. Qualche tempo fa è capitato, a chi scrive, di trovarsi di fronte alla fotografia di una mitica insegna Chiavacci, quella che ha accompagnato la mia infanzia e giovinezza di goloso di gelati, affissa davanti al bar (oggi chiuso) fuori dalle porte di casa. Con rammarico e disappunto, a distanza di almeno tre decenni, ho preso atto di non aver mai assaggiato Cassata, Castorino, Zuccottino, a causa di acquisti sempre rimandati per l’elevato prezzo di listino. Si sono così spalancati i cancelli della memoria, evocandomi (purtroppo) l’amarezza di squisitezze mancate. E poi ditemi che questo non è vintage esistenziale!